L’esperienza e la
ricerca insegnano che la maggioranza dei bambini sordi, pur partendo
da una normale potenzialità cognitiva, con un inserimento
“tradizionale” termina la scuola dell’obbligo con un bagaglio di
apprendimenti gravemente insufficiente, tanto da poter parlare di
serio rischio di insufficienza mentale conseguente all’impossibilità
di recepire a livello accettabile informazioni attraverso il
linguaggio verbale. Se gli stessi bambini sono educati in istituto,
possono nascere invece problemi psicologici di socializzazione e
integrazione nella società (Lilia Andrea Teruggi, 2003).
Quando a metà degli anni ’70 è
iniziata in Italia la politica dell’inserimento dei bambini
portatori di handicap nella scuola “di tutti” , una delle regole
generali era quella di non inserire più di un bambino per classe.
Nel caso dei sordi, si pensava che avere nella stessa classe più
bambini sordi sarebbe stato controproducente e avrebbe impedito una
reale “immersione” del bambino nel mondo degli udenti. In alcuni
casi l’auspicata “immersione” nel mondo degli udenti si trasformava
in una sorta di “ghettizzazione” del bambino sordo e del suo
insegnante di sostegno che si trovavano isolati rispetto alla
classe.
Di fronte a queste
difficoltà e a numerosi fallimenti, alcune famiglie cominciarono a
muoversi per ottenere un accesso più completo ai contenuti offerti
dalla scuola, chiedendo la presenza in classe di un interprete della
lingua dei segni.
La lingua dei segni è
una vera e propria lingua, con una sua grammatica ed una sua
cultura, e come tale permette non solo di comunicare, ma anche di
sviluppare il pensiero e le abilità cognitive.
“Le lingue dei
segni” afferma Virginia Volterra, dirigente di ricerca dell’Istituto
CNR, “sono lingue visivo-gestuali vere e proprie, con una loro
grammatica e una loro sintassi diversa in ciascuna nazione, in grado
di soddisfare qualsiasi bisogno comunicativo, cognitivo ed
espressivo come, per esempio, conversare o discutere, giocare o
recitare poesie o fare teatro. Per un bambino sordo è fondamentale
poter acquisire sin da piccolo questa lingua così come è
estremamente importante apprendere l’italiano. Se a queste necessità
aggiungiamo poi quella di poter incontrare e frequentare i propri
coetanei, il modello di scuola bilingue diventa uno strumento
privilegiato e indispensabile per lo sviluppo evolutivo dei piccoli
alunni” (M.C. Caselli, S. Maragna, V. Volterra, 2006).
Nonostante le ricerche
provino l’importanza dell’apprendimento della Lingua dei Segni per i
bambini sordi, e ci siano in atto “lotte” da parte della comunità
sorda per il riconoscimento ufficiale della lingua dei segni
italiana, che d’altronde è già riconosciuta nel resto d’Europa,
esistono modelli educativi che criticano questo sistema sostenendo
che i bambini sordi vengono ghettizzati nell’uso dei segni, che non
hanno contatti sufficienti con i loro coetanei udenti e che
soprattutto il segno “uccide” la parola, impedendo perciò un normale
sviluppo del linguaggio orale.
A partire da tutte
queste considerazioni, ho voluto insieme ad un’equipe di psicologi
ed educatori della cooperativa Alia di Villafranca Padovana, dare
una risposta concreta alle diverse “filosofie”, offrendo ai bambini
sordi un contesto ludico di integrazione con gli udenti, favorendo
perciò l’apprendimento di entrambe le lingue (Italiano e Lingua
Italiana dei Segni:LIS).
A tale scopo è nata a
Solesino (PD) a gennaio 2008 la Ludoteca L’Albero Segnante (Scala,
Bassan, Perondi, Pellegrino, 2008), la prima in Veneto e la terza in
Italia che favorisce l’apprendimento bilingue Italiano-LIS. La
Ludoteca vuole essere un luogo d’aggregazione di bambini sordi e
udenti per facilitare la comunicazione tra coetanei, ed intende
avviare lo scambio interculturale tra sordi e udenti. All’interno
della Ludoteca i bambini scelgono se giocare liberamente o
partecipare alle attività proposte dagli educatori, come i giochi di
società e la visione di film e documentari, i laboratori espressivi
di movimento e drammatizzazione e i laboratori manuali di disegno,
pittura, costruzione di giochi con materiali di recupero, o
ascoltare o vedere fiabe e racconti in LIS. I bambini possono
scegliere di usare la LIS o l’italiano come prima o seconda lingua.
Lo scopo principale
della Ludoteca è di dare l’opportunità a bambini sordi e udenti di
iniziare un percorso per creare una cultura della “diversità”.
Il sordo non si
definisce attraverso una mancanza, ma è un essere umano che
percepisce e abita un ambiente diverso da quello dell’udente. Così,
la lingua dei segni non è una specie di stampella che serve a
sostituire la meravigliosa lingua degli udenti, ma è semplicemente
una lingua diversa. E, come tutti sanno, una lingua non è
semplicemente un mezzo di comunicazione, ma è anche una combinatoria
pensante e creatrice di concetti, di percezioni e di affetti che le
sono propri.
In questo senso,
l’”integrazione” sociale dei sordi non deve essere pensata come un
favore concesso dai “normali” a dei poveri “portatori di deficit” ,
ma come un ampliamento del mondo grazie a una sensibilità
concettuale, artistica e umana supplementare: combinata con la
cultura dominante non sorda, la cultura sorda arricchisce la
società. E’ così che l’etichetta “sordo”, che condannava la persona
ad un rigido determinismo (nel senso, per esempio, che alla domanda
“che cosa desidera un sordo?” la risposta normalizzatrice era
“desidera udire”), lascia il posto a una molteplicità nuova e
rigogliosa.
Michele Scala, psicoterapeuta, Padova
Bibliografia
- M.C. Caselli, S.
Maragna, V. Volterra. Il Mulino. Linguaggio e sordità (2006).
- Lilia Andrea Teruggi.
Una scuola, due lingue (2003).
- Scala M., Bassan M.,
Perondi I., Pellegrino A. (2008) http://www.monselice.info/art.asp?argomento=giovani&id=244 |