Con il termine bullismo si indicano una serie di
comportamenti e atteggiamenti aggressivi di bambini e adolescenti
nei confronti dei loro coetanei. Il concetto è simile a quello del
mobbing adulto in campo lavorativo.
La televisione ed i giornali diffondono ormai
quotidianamente nuovi casi e cronache di efferate azioni ascrivibili
a tale categoria di violenza. E’ urgente comprendere meglio il
problema e trovare risposte efficienti ed efficaci, cioè rapide e
funzionali al raggiungimento degli obiettivi.
Il punto di vista psicologico permette alcune prime e
utili considerazioni sul tema.
In primo luogo la complessità del fenomeno. Al
bullismo concorrono diversi agenti: il bullo, la vittima e tutti
colori che assistono alle aggressioni; il tutto inserito in uno
specifico microcosmo di appartenenza a sua volta compreso nel
macrocosmo dei tempi storici attuali.
In secondo luogo, la peculiarità del funzionamento in
gruppo: il comportamento dell’individuo all’interno di un gruppo
risulta diverso da quello agito in assenza di esso. Tra gli effetti
negativi si possono citare una sorta di regressione funzionale, un
annullamento delle differenze individuali e un obnubilamento delle
responsabilità.
Una terza considerazione si può fare sugli aspetti
della personalità e del comportamento che la letteratura
sull’argomento ascrive al bullo ma anche per certi versi a chi
assiste a certi fenomeni: spiccano la facilità del ricorrere alla
violenza di fronte alle frustrazioni, la abnorme mancanza di empatia
ossia l’incapacità di mettersi nei panni dell’altro, una scarsa
capacità di “realizzare” gli effetti concreti delle proprie azioni,
l’assenza di un sentimento di responsabilità verso le azioni
compiute.
Nello studio, nella prevenzione e nel trattamento del
bullismo, la psicologia ha molto da dire e da fare. Auspichiamo
tutti un lavoro comune con le agenzie sociali, dallo stato alla
famiglia e alla scuola affinché il problema possa essere
adeguatamente affrontato.
Manuela Marcucci
(Psicoterapeuta, Roma) |